Montis Sani
Montesano Origini e Storia
Montis Sani
Montesano Origini e Storia
Montesano sulla Marcellana, con i suoi 850 metri di altitudine, è il paese più alto del Vallo di Diano. Le cime più elevate del territorio raggiungono un’altezza massima di metri 1447, mentre l’altitudine minima è di 480 m.s.l.m. Montesano Sulla Marcellana, definito il “Tetto del Vallo di Diano”, si erge alle pendici meridionali della Catena Appenninica della Maddalena (Appennino lucano), denominata “il Santuario delle acque” dal compianto prof. Franco Ortolani. Consistente, infatti, è la riserva di risorse idriche, con sorgenti di acqua termale nella fascia pedemontana. Nella zona alta del paese durante la stagione invernale e più precisamente negli altopiani di montagna: Magorno, Tardiano e Spigno si formano tre laghi le cui acque attraverso tre importanti inghiottitoi danno origine alle numerose sorgenti della fascia pedemontana che va dalla Siotta ai Cappuccini e da San Pietro a Cadossa.
Questo meraviglioso sistema determina l’identità al paese che è giustamente appellato: “Il paese dell’acqua”. Montesano si caratterizza anche per la sua estensione, infatti è il secondo per estensione dei paesi del Vallo di Diano, (109,36 km²) ed è uno dei più estesi della Regione Campania. Si dispiega fra la piana del Calore ad occidente e la piana della Maddalena ad oriente, con una superficie coperta di boschi di oltre 4000 ettari e con un andamento morfologico dalla montagna, alla collina e alla pianura dove sorse e si sviluppò intorno alla SS.19 e alla ferrovia la Frazione Scalo (una delle cinque Frazioni). Appartiene alla provincia di Salerno da cui dista 115 km; è ubicato strategicamente sul confine tra due regioni Campania e Basilicata e ricade nel perimetro dell’area protetta del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni.
Gli studiosi hanno avanzato varie ipotesi circa le origini del borgo. Secondo alcune tesi, esse sono da ricondurre alle dinamiche insediative dei secoli alto-medioevali, quando la popolazione del Vallo di Diano dalla pianura, paludosa e malsana, si concentrò sui rilievi. Questo evento sostanziale diede origine alla denominazione Montesano. Il toponimo Marcellianum è da ricondurre alla denominazione dell’antica strada che attraversava Marcellianum, il suburbio di Cosilinum sorto sulla Civita di Padula a confine con Sala Consilina. Nonostante questo toponimo risalga quasi certamente al 915 d.C. fu aggiunto all’originario nome del borgo, nella dizione: “sulla Marcellana”, solo con l’Unità d’Italia. Tale scelta, come dal Regio Decreto n. 1078 del14 dicembre 1862, fu determinata dalla necessità di evitare, a detta del Governo, la confusione con altri “Montesano”, nelle regie poste. Per avere un quadro più ampio della storia di Montesano che segue quella del Vallo di Diano è opportuno tenere conto di elementi geografici e non solo. L’area del Vallo di Diano, infatti, incastonata tra la Basilicata, il Cilento e la vicina Calabria settentrionale fu interessata, fin dal periodo magno-greco, dai flussi economici-culturali di tali regioni ben collegate tra di loro da tracciati stradali. Il Vallo, fu anche, già dal tempo della Magna Grecia, il naturale collegamento tra la colonia di Metaponto sul mare Ionio e quella di Paestum sul mar Tirreno, determinando la nascita di diversi agglomerati urbani attivi e fiorenti. Sugli antichi tracciati sono sorti, nel tempo, le attuali vie di comunicazione: la strada Statale 103 che, varcando la catena della Maddalena conduce a Grumento; la SS.19 che attraversa il Vallo di Diano sovrapponendosi, quasi totalmente al tracciato della consolare romana Annia-Popilia; la strada provinciale che dalla SS.19 si discosta per inoltrarsi fino alle pendici del Sirino e congiungersi con l’Alta Valle del Sinni e anche con il fondo della valle del Noce; la SS. 517 che coincide, in parte, con il tracciato dell’antica Via carovaniera “del Sale” e che dopo aver superato i comuni di Buonabitacolo e Sanza, segue il corso del Bussento e raggiunge il Golfo di Policastro.
La presenza di una rete viaria molto articolata ha comportato, nel tempo, uno sviluppo importante della zona, al contempo, però, ha richiesto anche il bisogno di difesa. Questo spiega l’uso di “sano”, con il significato di “sicuro”. Da qui, la convinzione che il borgo Montesano sorse con funzione “difensiva”. Status che può trovare la sua giustificazione nella nascita di un primo insediamento nella parte più alta del paese. Qui si stagliava il castello di notevoli proporzioni e munito di una rudimentale cinta fortificata. Oggi ne abbiamo traccia attraverso i reperti in pietra (fondali e mura) ritrovati nella sede del maniero. Ritornando alla rete stradale che nell’epoca romana già caratterizzava la zona, si sottolinea che nell’ “itinerario dell’imperatore Antonino” (regnante dal 138 al 161 d.C.), viene citata la zona che ci interessa trovandosi questa sulla via Aquilia che la collegava con Reggio Calabria. Nel su menzionato itinerario si racconta: “in medio Salerno, ad Calorem, in Marcelliana, in Cesariana et per Nerulum, dell’antica città Cesariana presso l’attuale Casalbuono. Questa circostanza giustifica il ritrovamento in agro di Montesano, di vari reperti archeologici quali tombe, corredi funerari e suppellettili tra cui terracotte e monili. Le origini, quindi, di Montesano possono farsi risalire, per un verso, a quanto affermato dagli storici (A. BRACA, cit. 82 A. SACCO, cit., vol. II, p.171)
“La via Aquilia che conduce a Reggio attraversando la zona montana di Atena, Padula e Arenabianca per evitare le paludi della pianura non ancora del tutto prosciugata (…), seguiva la fascia montana da Montesano a Casalbuono, passando per Cadossa fino alla contrada “le pantàne”. Da questo punto la strada s’internava per evitare i miasmi delle paludi e l’insalubre aria, da cui catassano (luogo insalubre), fino a protendersi verso Grumento.
Nelle vicinanze di Rupe Tonda raggiungendo Cesariana (contrada Civitella) (…) la via si biforcava: un ramulus, tutt’oggi esistente, che partendo dalla Annia –Popilia congiungeva Marcellianum, andando ad intercettare la via Herculia a Grumentum, l’altro a Sontia, odierna Sanza. Tanto premesso si può supporre che le popolazioni fermatesi lungo la via Aquilia (antica via romana Capua, Nocera, Salerno, Atena, Morano, Cosenza, Reggio) a causa delle numerose epidemie di peste, salirono in collina fondando, intorno all’anno Mille, il nuovo paese, che per la salubrità dell’aria e delle sue numerose sorgenti fu denominato Montesano. L’altra ipotesi, come già accennato precedentemente, sulle origini di Montesano può essere riconosciuta nella necessità di difendersi da scorribande. Come si legge in (F. GERMINO, “La via Aquilia o l’antica via romana)
“gli abitanti di Caesariana per scampare alla distruzione e al saccheggio perpetrati dai Saraceni del re Abdila, nel 915 si rifugiarono sulle alture delle montagne da cui sorsero, poi, Montesano e Casalbuono”. I Saraceni giunti in Sicilia tra l’827 e l’878 intrapresero scorrerie nelle zone costiere dell’Italia meridionale, fondarono basi operative nei porti di Bari e di Taranto, nel 915 giunsero nel Vallo distrussero Polla, Athena, Consilinum e Caesariana. Il susseguirsi di questi eventi fece sì che nel Vallo venisse a registrarsi una considerevole diminuzione demografica. Lo spopolamento della valle causò l’abbandono del controllo delle acque e conseguentemente l’impaludamento di vaste zone e la diffusione della malaria. I superstiti, pertanto, per sfuggire all’ambiente malsano e mettersi al riparo da eventuali incursioni, trovano scampo sull’ altura.
Montesano, come tutto il Vallo, aveva subito nel tempo le conseguenze delle invasioni barbariche che avevano interessato tutta l’Italia, con la caduta dell’Impero romano d’Occidente nel 476 d.C. Tutta la zona era stata al centro di teatri di guerre portate avanti dal Sud al Nord e viceversa. In tale contesto si collocano la costruzione da parte delle truppe romane di stradi militari ed in particolare dell’antica via Annia-Popilia (ab Regio ad Capuam). Di essa che prende il nome dell’omonimo Forum costruito nei pressi di Polla, ci sono numerose testimonianze che raccontano come sia stata un formidabile crocevia per le Calabrie, la Lucania e la Puglia. Questa antica via romana fu percorsa dai Visigoti, che dopo aver saccheggiato Roma nel 410, guidati da Alarico attraversarono il Vallo, ma anche dai Vandali che dopo essere sbarcati in Africa nel 429 ed avervi costituito il primo “regno romano- germanico” con capitale Cartagine, ripartirono e imperversarono sul Mediterraneo, e sulla terra ferma ripercorsero con gran rovina il Vallo, diretti a Roma che saccheggiarono nel 455. Lo stesso Teodorico, penetrato in Italia nel 488 con i suoi Ostrogoti, conobbe il Vallo, tant’è che il suo segretario e consigliere Aurelio Cassiodoro di Squlillace nel 507 riporta notizie precise sulla fiera di San Cipriano, “affermando che era una delle tre fiere più importanti dell’Italia meridionale che si teneva a San Giovanni in Fonti, luogo che in epoca pagana era stato sede del culto di Leucothea”. Il territorio non si salvò neanche dalle devastazioni dei Goti che attraversarono la Valle in due direzioni, verso Nord, spinti dalle truppe di Belisario, verso Sud sotto la guida di Totila occuparono l’Italia centrale e meridionale e, nel 547, quasi annientarono Marcellianum.
Di fondamentale importanza economica, culturale e spirituale fu l’insediarsi nel Vallo e nell’agro montesanese, dei monaci Italo greci, più comunemente detti, Basiliani. Costoro giunsero nel nostro territorio e non solo, al seguito degli eserciti bizantini o per sfuggire alla persecuzione iconoclasta iniziata ad opera dell’imperatore Leone III nel 726 o come missionari per cristianizzare l’Occidente imbarbarito. La loro presenza è diffusamente dimostrata dal riscontro di numerosi edifici e di nomi bizantini nella toponomastica a Montesano. I monaci si prodigarono per la cura spirituale e culturale della popolazione e crearono un centro multiplo di attività e rinascita sia materiale che morale delle popolazioni. (rif. Guida turistica Su e Giù per il paese 1992 a cura Scuole Medie Abate Cestari e Guglielmo Marconi)
Le prime notizie documentate su Montesano si hanno grazie ad una pergamena rinvenuta e conservata nell’Archivio della Badia della Santissima Trinità di Cava dei Tirreni (Salerno), in cui si attesta la donazione di tre monasteri. “(…), donamus et offerimus (…)tria monasteria (…)Sancti Simonis in loco pertinentiis de castello Monte Sani (…)” all’Abate Pietro Pappacarbone da parte della famiglia del conte Ugo D’Avena.(AC, Arca 9; R. ALAGGIO, La fondazione dell’Abbazia di Santa Maria di Cadossa. Strategie politico-istituzionali nel Vallo di Diano tra longobardi e normanni, in «Apollo, XI (1995)», p.70)
Tali tracce documentali su Montesano risalgono al 1086, allorquando i nobili longobardi Ugo D’Avena, la moglie Emma e il figlio Ugo, donarono il castello e il terreno con relativa Badia di San Simeone, alla Badia della SS. Trinità di Cava. Nel 1131, l’abate Leonzio di Rufrano (Rofrano) ricevette in donazione da Ruggiero II di Sicilia l’Abbazia di Santa Maria di Grottaferrata (in Rofrano), da cui dipendeva anche il monastero del Tumusso di Montesano e alcune grancie.
Montesano per la salubrità del luogo, la ricchezza delle acque e la fertilità del suolo, è sempre stato un feudo molto ambito dai “Signori” del tempo. Passò attraverso i domini di Svevi ed Angioini che seppero sfruttarne a proprio beneficio le importanti risorse naturali. Dal 1269, anno in cui fu donato ad Annibaldo Trasmondo di Roma da Carlo D’Angiò al 1337 anno in cui passò a Guglielmo Sanseverino, figlio del Conte Tommaso fondatore della Certosa di Padula, il feudo fu dominato da sette baroni. Guglielmo nel 1346 cedette Montesano a sua moglie Margherita di Scotto che lo resse per ben 54 anni, quando lo perse a seguito della ribellione di Guglielmo al re Federico D’Aragona nel 1496. Dopo altre disastrose esperienze il Feudo fu venduto “sub asta Regiae Camerae” ad Agostino Ambrosino. Per l’ultima volta il Feudo di Montesano fu venduto per 52.500 ducati alla Certosa di Padula che lo resse fino all’abolizione della Feudalità. La popolazione, passata da un padrone all’altro nel corso dei secoli, non ebbe mai vita facile per vessazioni, soprusi e carestie. A ciò si aggiunsero anche gravi epidemie, si ricorda con terrore la peste nera del 1348 e il suo ritorno del 1656 che ridusse la popolazione, da 2.000 abitanti nel 1648 a soli 540 nel 1669. Successivamente Il comune di Montesano poté godere di un breve periodo di pace e benessere tanto che nel ‘700 si verificò una sensibile ripresa demografica con conseguente incremento del tessuto urbanistico.
Il borgo è arricchito da alcuni palazzi nobiliari come il Palazzo Gerbasio, palazzo Abatemarco e palazzo Cestari residenza di Nicola Cestari capo della municipalità nella Repubblica partenopea del 1799. Tale palazzo è stato teatro della protesta contro Il Cestari. La disputa tra le tre famiglie nobiliari Cestari, Gerbasio e Abatemarco che generò cruenti tumulti tra repubblicani e monarchici si concluse in maniera drammatica con l’uccisione del Cestari il “democratizzatore “il 17Febbraio del 1799 da parte della popolazione insorta, eliminando la ventata rivoluzionaria della Repubblica Napoletana. Gli avvenimenti del 1799 si collocano in un grande vuoto di potere che generò solo violenza, soprattutto a Montesano. In effetti dopo l’eccidio e il subentro dei Sanfedisti, a capo della municipalità fu eletto don Enrico (o Emerico) Gerbasio, e con vari provvedimenti si garantì il mantenimento di ricchezze e privilegi a danno della plebe, mentre le famiglie Gerbasio, Abatemarco e anche i Cestari rimasero potenti anche se dolorosamente legati ai fatti del 1799. Un periodo di relativo benessere fu vissuto dal paese montano, almeno fino a quando nel 1809, vietate le prestazioni feudali, questo divenne libero Comune.
“Lo spirito di libertà ed anti tirannico dei Cestari continuò anche con il figlio primogenito Tommaso Cestari, il quale si impose come uno dei più importanti dirigenti del Vallo di Diano, partecipando ai moti insurrezionali del 1820 e subendo, per questo, un processo, che lo portò alla morte nelle carceri di Salerno nel 1823.” (rif. Archivio Storico comune di Montesano – Giuseppe Aromando e Giovanna Falcone)
Il monumento più importante di Montesano sulla Marcellana è l’Abbazia di Santa Maria di Cadossa, insediamento monastico benedettino di origine medievale, qui si santificò S Cono di Teggiano, trasformato in grancia con una struttura a corte a partire dalla seconda metà del XVI secolo e passato alle dipendenze della Certosa di Padula (1519). I Certosini costruirono l’attuale Chiesa (1579) che sostituì la preesistente e ingrandirono il complesso. Tale ampliamento determinò la distruzione di una torre merlata medioevale, ancora visibile in una mappa di inizio ‘700, quando il monastero era fortificato, tanto che le fonti scritte lo indicano come castrum Cadosse (1272).
Il tessuto edilizio fa riferimento a due nuclei ben distinti: il primo allocato sulla parte più alta del paese dove era posto il castello di notevoli proporzioni la cui cinta fortificata, in parte ancora è visibile; l’altro nucleo si rintraccia nei pressi delle chiese di Santa Barbara e di Sant’Andrea, lievemente più a valle, lungo la falda occidentale e meridionale. Del Castello, oggi, non vi è più traccia, tranne che per alcuni reperti in pietra, fondali e basi di altari delle cappelle laterali della chiesa di S. Nicola, e alcuni inglobati in qualche casa attuale. I reperti sono venuti alla luce nei lavori di riqualificazione di piazza Castello, inaugurata nel 2016 con il simbolo della torre – serbatoio in pietra, visibile da tutto il Vallo Di Diano e che rappresenta lo skyline della montagna, denominato monte San Nicola. Una campagna archeologica darebbe dignità e luce sulla storia di Montesano. Di certo, però, il maniero era lì posto a protezione e difesa del territorio e della sua popolazione. Secondo il Sacco, esso era attivo durante la Guerra del 1916, “(…) l’unico collegamento possibile fra il Golfo di Policastro e quello di Taranto (attraverso la val d’Agri) e passare per il valico di Montesano (…). Al crocevia di questo tracciato (…) con quello della via Consolare, fra Cosilinum e Nerulum (Lagonegro) non poteva non consolidarsi un insediamento di una qualche importanza. È da ritenere, infatti, che l’esistenza di Cesariana è veritiera, ma che essa sorgesse presumibilmente nella località di Marcellinum (…). (rif.. Il Vallo di Diano – Assetto territoriale e modello di sviluppo – P.P. FABIANO, p. 237)
Nell’800, il territorio di Montesano, si è caratterizzato per i numerosi insediamenti sparsi. Ai primi e più antichi nuclei di Cadossa e Arenabianca (Cauli) seguono quelli di Tempa Capuana, di Tempa la Mandra e di Prato Comune sulla fascia pedemontana; mentre, sui rilievi, posti sugli altopiani, si colloca Tardiano seguito dai nuclei di Magorno, Castracane, Cessuta e Pattano. Infine, sul finire dell’800 si è sviluppato l’insediamento di Montesano Scalo lungo la SS.19 a seguito del passaggio della linea ferrata Sicignano Lagonegro. A solo due chilometri da questa frazione, trovasi lo svincolo di Buonabitacolo – Padula dell’autostrada del Mediterraneo. Montesano diede un importante tributo alla causa italiana durante la Grande guerra. Prospiciente alla piazza Filippo Gagliardi si erge, il monumento ai caduti del conflitto del 15-18; sul quale sono riportati i nomi di 100 caduti tra morti e dispersi.
Un evento importante che è ancora vivo nei ricordi delle famiglie montesanesi fu la rivolta contadina tra il 18 e il 19 dicembre del 1943, che sfociò in quello che comunemente a Montesano viene detto: “Lo sciopero del 1943”. (vedasi per gli atti del processo” Lo sciopero” del 43 a Montesano S/Marcellana di Angelo Sica-Centro studi e ricerche)
Per collocare i fatti inerenti lo sciopero, facciamo riferimento alla ricerca storica del prof. Ciro Capobianco “Per inquadrare storicamente la rivolta contadina avvenuta nella piazza di Montesano e sfociata in una durissima repressione in cui persero la vita otto persone tutte del popolo basso e rimasero ferite una trentina di persone di cui alcuni in modo grave, bisogna risalire ai giorni che precedono l’otto settembre del 1943. I primi segni di una coscienza comune da parte dei contadini montesanesi, della insofferenza contro l’atteggiamento duro e persecutorio delle guardie comunali, risalgono alla festa di S. Rocco che si festeggia ancora oggi nell’ultima domenica di Agosto”. (vedesi Storia del Vallo di Diano di Pietro Laveglia)
Infatti dopo vari tumulti fu destituito il commissario prefettizio Raffaele Volentini e fu acclamato sindaco il barone Gerbasio Ovidio che aveva già rivestito la carica per qualche anno durante il fascismo. Ma benché nobile era di poca cultura e privo di autonomia politica per cui già nel 1925 era stato destituito dal podestà. I contadini che, di fatto, erano diventati i padroni del Comune tentano varie volte di creare un’amministrazione autonoma ma non ci riescono per la mancanza di quadri adeguati e di persone che sapessero leggere e scrivere, perfino il capopopolo Vincenzo Lauria era analfabeta. “Nella fase montante del movimento, dalla fine settembre del 19.12.1943 le manifestazioni ostili si intensificarono e crebbero come portata fino a sfociare in una grossa manifestazione tenutasi a Montesano con ogni probabilità, la domenica del 12.12.1943. In questa manifestazione i contadini assaltano la casa del segretario comunale Giosuè Greco, ne sfondano la porta a colpi di accetta e prendono la “roba che vi è stipata”. (ricerca di Ciro Capobianco, per la pubblicazione Storia del Vallo di Diano di Pietro Laveglia)
I rivoltosi spogliano il brigadiere delle guardie comunali mettono la coppola in cima ad un bastone e la lanciano sulla chiesa. “In questo evento, le numerose donne si distinguono per determinazione e per azione. Da questo momento si intravede la sconfitta del movimento”.
La rivolta dei montesanesi coinvolse tutte le frazioni, i rivoltosi perirono durante i fatti in piazza e per le strade. Altri furono cercati e arrestai notte tempo, nelle case e richiusi nelle carceri di Lagonegro e Sala Consilina. Gli atti dei processi ricercati dal citato Angelo Sica, raccontano le vicende di un paese umiliato e vessato. Mancano, tuttavia all’appello i nomi di molte persone che parteciparono alla rivolta e che andrebbero ripescati, essendo state distrutte alcune pagine del processo. Un particolare ruolo ricoprì, immediamente dopo lo sciopero, il dott. Giuseppe Cardinale, nipote di quel Tenente Cardinale, trucidato a Kos il 6.10.1943. (Il mese prima a Cefalonia, era stato trucidato l’ufficiale Antonio Bianculli). Il Cardinale fu inviato dal Prefetto di Salerno come Commissario Prefettizio con funzioni di Sindaco. Nato a Montesano sulla Marcellana (Sa) il 18/12/1914, dottore in Agraria, funzionario presso l’Ispettorato Agrario di Massa Carrara, era tornato in Campania nell’aprile del 1943, per accompagnare la moglie, in avanzato stato di gravidanza, e successivamente, raggiunse il luogo d’origine alla vigilia dello sbarco alleato a Salerno, il 7 settembre del 1943. Era, quindi, a Montesano nel dicembre del 1943 e fu testimone dei gravi fatti di sangue che vi si verificarono. Cardinale svolse il suo incarico da Commissario Prefettizio, tra i primi mesi del 1944 e la metà del 1946, quando per gravi motivi di salute, fu costretto a rinunciare all’incarico. Ebbe il grande merito di organizzare l’archivio comunale. (A. CARDINALE “Da Montesano a Milano”, estratto dal diario di famiglia di Giuseppe Cardinale, 1984, Parte III., A. BRACA, Storia e produzione figurativa, in «Storia del Vallo di Diano, vol. IV», 2004. AA. VV. Forme di antifascismo e prove di democrazia nel salernitano. Montesano sulla Marcellana e il suo Sindaco)
Ripresosi dalla difficile condizione post bellica, Montesano e i suoi abitanti, conobbero un vero e proprio sviluppo urbano, antropico, sociale e religioso. Qui, erano presenti una Pretura, un Carcere mandamentale, un ufficio del Catasto, un ufficio del Registro e anche quello del Collocamento. Questo ultimo si ottenne grazie all’interessamento di Filippo Gagliardi (1950).
Partito da Montesano nel 1937, Filippo Gagliardi, senza soldi in tasca né titoli di studio ma con la sola misera valigia di cartone, si avventurò sulla rotta di un Paese a lui sconosciuto, il Venezuela, ne fu attratto per il clima e per la gente, li si dedicò con grande spirito di sacrificio all’edilizia. L’immane fortuna guadagnata e accumulata gli consentirono di realizzare progetti filantropici di grande portata non solo per il suo paese ma anche per altri territori. “Egli, fu un vero e proprio benefattore del suo popolo e non solo.” (rif. A. A. VALENTINO, Montesano sulla Marcellana tra Storia e Foto, 2011, p.85)
A lui si devono interventi a favore dei bambini poveri e bisognosi dei comuni del Vallo (esempio Befane Mamma Gagliardi) e la distribuzione di viveri ai meno abbienti. Filippo Gagliardi realizzò importanti opere infrastrutturali, alcuni servizi essenziali come impianti di acqua, luce e fogne, fece costruire l’asilo, la caserma, chiese, case, piazze e strade messe a punto per il benessere e il progresso sociale. Tutte queste opere modificarono il tessuto edilizio di Montesano, spingendo verso la modernità che aveva conosciuto in Venezuela.
La trasformazione del paese coinvolse anche le architetture storiche come la chiesa di Santa Sofia che è da integrare nella splendida chiesa monumentale di Santa Anna. Numerosi furono gli interventi umanitari, oltre che governativi e politici, come quelli a favore degli alluvionati del Polesine, di Salerno e della Costiera Amalfitana. (A. ANTONIELLA, L’archivio comunale postunitario contributo all’ordinamento degli archivi dei comuni, 1979.)
Oggi Montesano è un paese accogliente e vivibile, come tanti borghi dell’Appennino, felicemente definiti dall’ arch. Cuciniello “Terre di mezzo”. Il borgo conserva un paesaggio di grande bellezza che si articola su valli, monti ed altopiani. Montesano indicato come il “Tetto” del Vallo è caratterizzato dalla ricchezza delle acque sorgive che alimentano da secoli mulini e gualchiere e centrali idroelettriche e le abitazioni dei paesi del Vallo di Diano e non solo.
Le acque di Montesano imbottigliate e distribuite prevalentemente sul territorio nazionale, dalle “Sorgenti S. Stefano” sono rinomate per la purezza e le proprietà oligominerali. L’economia è prevalentemente agricola ed artigianale; sta acquisendo notevole rilievo l’allevamento zootecnico; si registra una significativa produzione di salumi e derivati dalla lavorazione del latte, rinomato è il caciocavallo silano DOP prodotto con latte crudo di vaccini podolici che pascolano in territori geomorfologici simili a quelli della Sila calabrese. Numerose sono le attività di accoglienza e ristorative che ancora oggi ripropongono piatti della tradizione: Laaniedd e fasul, Cimaruli, F’rr’ciedd, Agnellone alla “pastorale”, Sanguinaccia.
Montesano Scalo: Storia di una frazione senza storia
Montesano Scalo è tra le frazioni più densamente abitate del Comune di Montesano.
Il territorio può essere considerato una piccola Mesopotamia, trovandosi in parte stretto tra due fiumi che lo inglobano longitudinalmente da sud verso nord: il calore e l’imperatore.
Il luogo è situato a 487 m sul livello del mare, dista dallo svincolo autostradale A3, denominato Padula-Buonabitacolo, km 1.600 circa e km 9 dal Capoluogo.
Il sito, preso in senso lato, comprenderebbe Montesano scalo.
La storia antica di questo insediamento è ancora in gran parte da scrivere, ma essa è per certo legata ai “capricci” dell’acqua e alle conseguenti vicende della bonifica dell’intero Vallo di Diano.
Montesano scalo, infatti, posto in una posizione strategica, a sud di un’ampia vallata pleistocenica, avrebbe assunto notevole importanza quando… “i Romani aprirono, sullo scorcio del II secolo a.C., la strada da Capua a Reggio; iniziarono la gigantesca fatica della disciplina delle acque e diedero forte impulso all’opera di bonifica della terra”.
(Rif.Cassese L., Scritti di Storia Meridionale, P. Laveglia, Salerno 1970)
I pochi reperti archeologici, rinvenuti fortunosamente in contrada “Marcellino”, località a ridosso della riva destra del fiume Imperatore, distante circa 1km dalla stazione F.S., sono insufficienti a stabilire un collegamento diretto con il popolamento dell’intero Vallo di Diano, avvenuto con la Riforma Graccana e con la conseguente assegnazione delle terre (131 a.C).
Tuttavia, il rinvenimento nel Vallo di Diano di numerosi Cippi Graccani, lungo la via Capua-Reggio, farebbe ritenere che anche questa zona, proprio perché prossima la vecchia strada consolare, fosse discretamente popolata sin dalla fine del II secolo a.C.
Tratto stradale da piazza ferrovia verso Montesano: da sinistra uno steccato a destra una scarpata
Costume tipico
Che cosa sia capitato alle popolazioni del Vallo di Diano nell’ultimo periodo dell’impero, è difficile dire in mancanza di riscontri archeologici precisi, certo è che “la dove ferveva la vita civile si fece silenzio di morte: la magnifica via, anello di congiunzione tra l’estremità del centro, mezzo di irradiazione di ogni umano traffico, fatta via via più deserta e caduta in estremo abbandono, venne corrosa e quasi sommersa dalle montanti acque.”
(Rif.Cassese L., opera citata)
Nell’alto medioevo, segno di un certo fervore economico e sociale nella zona vengono da “Marcellianum”.
Il sito, preso in senso lato, comprenderebbe Montesano scalo.
A Marcellianum si svolge ogni anno un importante vivere in occasione di San Cipriano, conosciutissima della popolazione della Lucania, della Campania, del Bruzio, e della Apulia, che ivi convenivano per scambi commerciali di notevole rilievo.
Non è azzardato, quindi, ipotizzando un ritorno di tipo “Turistico” per la zona del Marcellino che, attesa la centralità della sua posizione geografica, dovette attrarre nelle sue “taverne” ancora oggi “note”,
i mercanti-visitatori della fiera che, a ragione, può essere immaginata come una piccola esposizione “universale” per le popolazioni dell’Italia meridionale del tempo.
Dal Mille in poi, le sorti di questo posto sono legate prima all’Abbazia benedettina di Santa Maria di Cadossa e, successivamente, alla storia della Certosa di Padula. Da un inventario integrale dei beni dell’Abbazia di Cadossa 1372, dopo la guerra del Vespro e la tremenda epidemia di peste della metà del secolo XIV, si rileva che le particelle molte delle quali conservano gli stessi toponimi: (Cadossano, Cerreta, Pantanelle…) su cui insiste Montesano Scalo erano coltivati (prevalente era la vite), ma non ospitavano insediamenti abitativi di rilievo.
Notizie relative ai secoli successivi, sulle coltivazioni di questi terreni, sono desumibili da una serie di riferimenti alla storia più generale del Vallo di Diano, in base a cui “nel Vallo i cereali circolavano liberamente e la presenza di mulini, nei vari centri dimostra che venera a sufficienza, se addirittura non erano esportati. Alle acque poi era legata un’altra produzione, quella della canapa e del lino”.
(Rif.Coniglio G., AA VV, in Storia del Vallo di Diano, vol III, P.Laveglia, Salerno 1985)
Nonostante tutto, le parole con cui Gatta, nel 1732, rievocava con amarezza la vendita della Grancia effettuata dal Monastero di Santa Maria di Grottaferrata al Monastero di San Lorenzo (15.03.1720) di Padula, rispecchiano abbastanza fedelmente ancora oggi, le caratteristiche del luogo.
“Gloriavasi pure tale terra (La Lucania) di avere ne di lei territorio una opulenta Grancia… che pur situata era il luogo ameno e delizioso, innaffiato da perenni Rivoli di Cristalline acque”.
(Rif.Gatta C., Memorie topografico-storiche della provincia di Lucania, Munzio, Napoli 1732)
In epoca moderna, il popolamento di Montesano scalo viene agevolato dalle opere di bonifica effettuate nel Vallo di Diano nel periodo della dominazione spagnola, e precisamente tra il 1743 e il 1796. Quei lavori, frammentarie disorganici, non risolsero completamente il problema degli spaventevoli inondamenti, ma lo attenuarono sensibilmente.
Alla fine del XIX secolo, in ogni caso, il fondovalle viene utilizzato per la costruzione della ferrovia Sicignano- Lagonegro. Ecco come vengono rievocate quelle vicende nelle pagine di diario di Monsignor A. Sacco, l’Autore della monumentale “Certosa di Padula” << Però le passeggiate soverchiamente lunghe
(mi rendono forse nervoso) mi rendono inabile allo studio per soverchia stanchezza… come è avvenuto dopo il viaggio a San Rufo, Polla ed a S. Antuoni per vedere la ferrovia>>.
(Rif. Sacco A., La Certosa di Padula, vol. IV)
La linea ferrata, fu ultimata fino a Casalbuono il 3 novembre 1888. A quei tempi, la costruzione della ferrovia che avrebbe dovuto, in un primo progetto, congiungere Sicignano (SA) a Castrocucco (CS), provocava curiosità ed entusiasmo.
Proprio sull’onda di questo entusiasmo che Montesano scalo divenne in breve la stazione ferroviaria più movimentata della tratta Sicignano-Lagonegro.
Passaggio a livello anni ’60 Montesano Scalo
Costruzione Campanile Montesano Scalo
La storia di questa comunità è, d’ora in avanti, intimamente legata alla nascita, allo sviluppo e perché no, al declino, di questa linea ferroviaria che con una brutta metafora la burocrazia, oggi, chiama “ramo secco”.
Lo scalo ferroviario è stato per circa un secolo, prima che il trasporto su gomma assumesse un ruolo preponderante, un centro molto dinamico in cui confluivano merci provenienti da circa 40 paesi, molti dei quali ubicati in Basilicata.
Le merci in arrivo e in partenza, prima dello smaltimento, venivano depositati in un locale adiacente alla stazione” la piccola”. L’area dello scalo è stata animata, per gran parte di questo secolo, da squadra di facchini, traversare, capi-carovana, addetti al carico e scarico dei carboni delle traverse destinate alla costruzione e la manutenzione delle strade ferrate di mezza Italia.
Primi postali il servizio inizialmente fu istituito direttamente dalla Fiat, così come i primi camion
(i 18 Biella), fecero la loro comparsa negli anni 20. Nello stesso periodo numerose famiglie provenienti, nell’ordine, dalle zone vesuviane e dal salernitano, dal centro storico di Montesano, dai paesi del Vallo, elessero proprio domicilio questa zona in cui portarono la loro competenza e le loro professionalità.
Agli inizi degli anni 30, la comunità cresce al punto tale da richiedere l’istituzione di una nuova Parrocchia, che, dedicata al Cuore Eucaristico di Gesù, venne eretta il 3 giugno 1934 con decreto dell’Ordinario Diocesano di Teggiano.
Primo Parroco, nonché fondatore di questa parrocchia, fu il Reverendo Don Giovanni Larocca che la resse con spirito autenticamente francescano fino ai primi anni 60.
Una foto scattata nel 1945 da un pilota nord-americano Mister Jim di stanza Persano, in volo di ricognizione sulla zona di Montesano Scalo documenta che il nucleo abitativo storico era costituito essenzialmente dalle case posto lungo le attuali via Garibaldi e via Cesare Battisti.
La piazza (già “petazzo”) accoglie frotte di bambini, anziani e forestieri. Il viale alberato che fiancheggia per un buon tratto via Garibaldi, di domenica e durante la buona stagione è luogo di raduno.
Momento di animazione era rappresentato, altresì, dal torneo di bocce che vedeva protagoniste vecchie e nuove generazioni.
L’economia del luogo si basa, perlopiù, sul settore terziario: le attività commerciali sono svariate, crescenti e rispondenti alle esigenze della popolazione.
Sul territorio oltre i servizi essenziali poste, banche, farmacie, scuole, centro di riabilitazione (C.R.O.N) sono presenti anche agenzie automobilistiche e assicurative, numerose officine meccaniche, palestre, forni a legna e delle botteghe di lavorazione del vetro.
Via G.Garibaldi veduta casa De Lucia
Via Cesare Battisti
Il comune stranamente, e non per colpa sua s’intende, negli ultimi tempi si è trovato a gestire una toponomastica carente, perché Montesano non ha più le Terme e la frazione di Montesano Scalo non ha più la stazione ferroviaria! Per fortuna però, proprio quest’ultima località da alcuni anni possiede una risorsa inestimabile che ha reso famoso Montesano e tutto il comprensorio Valdiano in Italia e nel Mondo: la Pasticceria Maison Manilia di Giuseppe Manilia.
Inoltre ogni 15 giorni, di sabato, si svolge il mercato sulla via Giuseppe Garibaldi.
Gli alberghi come l’Hotel Venezuela offrono un ottimo servizio anche per sponsali che vi si svolgono numerosi.
La comunità è costituita anche da validi professionisti che operano efficientemente.
Ancora oggi, come ieri, caratteristica peculiare della nostra frazione è quella di attrarre famiglie e giovani coppie, provenienti da altri paesi; qui esse trovano facile inserimento e cordiale ospitalità, tale da stabilirvisi in modo definitivo.
Prato Comune: La melodia dell’acqua
Prato Comune o Varchera è una piccola e accogliente frazione di Montesano sulla Marcellana situata proprio ai piedi del monte a circa 600 mt sul livello del mare.
Questo nucleo ebbe il suo sviluppo intorno alla Grangia di San Pietro de Tumusso e fu promosso dai padri Basiliani, primi evangelizzatori del nostro territorio che ebbero la lora massima diffusione intorno al IX e X secolo. Essi erano raffinati poeti e cultori di icone (immagini sacre).
Con Leone III si scatena contro di loro una terribile persecuzione in quanto all’interno del Cristianesimo si sentiva ancora l’influsso dell’Ebraismo e all’esterno c’era la spinta dell’Islamismo, tanto che i cristiani nei paesi maomettani furono costretti a emigrare o ad abbracciare l’Islam.
Arrivarono nell’Italia meridionale perché i nostri luoghi erano affini a quelli di provenienza. Questi monaci vivevano asceticamente nel celibato, nel digiuno, nel lavoro e nell’obbedienza. Costruivano le chiese e poi incominciavano a bonificare e lavorare la terra.
La presenza dei basiliani a Montesano è accertata con la Badia di Santa Maria di Cadossa, con la chiesa di Santa Sofia, distrutta dalla recente costruzione della chiesa di Sant’Anna e con la cappella di San Pietro, ex Grancia di San Pietro de Tumusso.
Abbazia di Santa Maria di Cadossa
Festa di San Cono: Trasporto delle reliquie di San Cono da Teggiano a Cadossa
All’abate Leonzio di Grottaferrata nel 1131 venne donato il monastero di San Pietro de Tumusso, insieme con altri in Lucania e nella Calabria settentrionale, da Ruggiero II, conformemente a un diploma in greco dato nel Palazzo di Palermo; il monastero, con S. Zaccaria di Sassano e S.Maria di Vito a Fogna di Laurino, rimase alla Badia Basiliana fino al 1728, data in cui viene trasferita alla Certosa di Padula:
“non è guari è stata Ella Venduta da que’ Padri al descritto Monastero di San Lorenzo, che quivi con tal compra ha fondato un’altra propria Grancia.“
Ed allora, che il padre priore certosino prese il possesso di tale luogo, accade quindi un memorabile avvenimento, che avvisa quanto sia potente la turbazione dell’animo in togliere subitamente la vita; imperocchè nell’improvviso possesso, che il menzionato Priore fe’ di tale luogo, l’Abate Basiliano, ch’era in custodia del medesimo, e che di ciò nulla sapeva, spaventato da una tanta novità, esprimendo queste singolari parole: Siamo dunque noi altri ridotti colle bisacce in collo?
E senza di più, cadde tramortito, e terminò fra poche ore la vita.”
(Rif.Gatta C., Memorie topografico-storiche della provincia di Lucania, Munzio, Napoli 1732)
Prato comune è un favoloso insediamento collinare, ai piedi dell’imponente montagna di Montesano.
Si è sviluppato alla grande, negli ultimi 15 anni intorno alla piazza Vincenzo Pepe che, con le sue comode panchine ombreggiate dai succulenti “verdoni”, offre ai turisti una piacevole frescura dopo le lunghe passeggiate.
Il Mulino
Mulino Siotta
Poco distante, c’è una fontana, una delle tante donate da Filippo Gagliardi e che rimane sempre a gocciolare. Il suo rumore si mescola con lo scroscio dell’acqua del fosso che, durante le sere destate, ospita le rane canterine.
Il mio sguardo si sofferma sulle distese dorate dei campi di grano che sembrano ballare a ritmo di flauti… Che armonia!
Il cielo, nelle giornate estive, sembra dipinto ad acquarello. Nella tranquillità di questo posto, all’alba, si ode solo il cinguettio degli uccelli mattutini che fa presagire l’arrivo di un nuovo giorno.
Il clima tra marzo e ottobre costantemente mite, talora caldo; d’inverno è dura passarla liscia senza un fastidioso raffreddore!
Venite a Prato comune almeno per un giorno, perché il vostro cuore sicuramente vi suggerirà di ritornarci.
Le sorgenti, i mulini e le Guaghiere hanno profondamente segnato la storia di Montesano e, nelle zone intorno alla Grancia di San Pietro di Prato Comune, concorrono alla formazione di un paesaggio da favola.
Arenabianca: La frazione più antica
L’origine della frazione, di Arenabianca va ricercata in tempi remoti, il Macchiaroli sostiene che
ebbe origine nel 1600, collegandola all’antica “Cauli “indicata nelle mappe fin dal ‘500.
A testimonianza di ciò, vanno ricordati i ritrovamenti di vari reperti archeologici risalenti ad epoca
romana, durante i lavori eseguiti negli anni ’60 per la costruzione della rete idrica in località “Cafari” e una tomba in terracotta di epoca pre-romana.
Pochi anni dopo, in località” Pantano”, presso una cava, venne alla luce una tomba in terracotta, di epoca pre-romana, contenenti vasetti, ampolle ed altri oggetti a corredo della tomba.
Per questi ritrovamenti gli storici locali ritengono che l’origine di Arenabianca vada ricercata in tempi remoti.
Nel XVIII sec. la sua popolazione è cresciuta notevolmente, raddoppiando quasi il numero degli abitanti nel corso del secolo. Tale fenomeno fu originato dal decentramento della popolazione, che usciva dalle mura medievali di Montesano centro, per stabilirsi in località periferiche, del territorio. Fu così che si aggregò intorno alla Chiesa di S. Maria di Loreto, che reca sul portale la data del 1628 e posta ai due lati dell’asse stradale che collegava Montesano alla Certosa di Padula, denominata in epoca romana via Aquilia che conduceva a Reggio Calabria, e percorreva longitudinalmente la collina.
La strada determinò un forte vincolo con Padula, anche oggi si notano evidenti legami tra le due fiere che si tengono nel mese di settembre a Padula e Arenabianca.
La Chiesa di Santa Maria di Loreto è il monumento più importante e rappresenta il simbolo religioso della frazione, una chiesa una comunità, conserva feste e tradizioni religiose antiche e molto sentite. Al sec. XIX risalgono numerosi edifici, tra i quali è da ricordare quello della famiglia Gerbasio, che qui costruì la sua residenza estiva.
Oggi la frazione presenta un notevole sviluppo urbanistico, che accentua il carattere residenziale. Appare adagiata a mezza costa a quota 680 m.s.l.m. posta, “come sulla corda ideale di un acrobata”, a ridosso dei Monti della Maddalena che fanno da corona da oriente, al Vallo di Diano, in una posizione esposta al sole, da cui si ha la possibilità di affacciarsi sulla vallata sottostante(peccato che la piazza nella parte terminale, negli anni 80 è stata interrotta con la costruzione di due abitazioni che hanno creato per un piano fuori terra, una quinta alla stessa) verso cui degradano, come terrazze, le tempe sempre verdi, intervallate da graziose costruzioni, che sovente si trasformano in piccoli ed attrezzati aggregati urbani, nelle cui stratificazioni è ancora possibile ritrovare lo spirito di solidarietà e di buon vicinato dei tempi andati.
Il Palazzo
Vita contadina
Durante il fenomeno del brigantaggio per ragioni di ordine pubblico ad Arenabianca, fu vietata, nei giorni del 7e8 settembre 1865, la fiera e la festa di Santa Maria di Loreto, che si teneva annualmente in quella frazione di Montesano.
Il fenomeno del brigantaggio, con connotazione ora politica, ora sociale ed economica è quasi sempre
esistito, giungendo fino a circa il 1920. I montesanesi attempati conoscono, per racconto diretto, rapimenti
ed estorsioni effettuate del brigantaggio post-unitario tra il 1865 e il 1880.
La frazione deve il suo nome agli antichi arenili bianchi, che interrompono le distese di verde delle montagne che la sovrastano, alcune simili a delle ferite oltraggiose per il paesaggio che non sempre è stato connesso con l’ambiente circostante.
Tra le frazioni di Montesano sulla Marcellana, Arenabianca presenta condizioni climatiche molto favorevoli per essere apprezzata per una villeggiatura rilassante e distensiva per motivi logicistici (dista 3 km da Montesano e dal fondovalle, 6 km dalla Certosa di Padula) con escursioni termiche contenute per la funzione di protezione (esercitata dal declivio dei monti retrostanti) e altimetriche
(in linea con tutti i paesi collinari che si affacciano su Vallo di Diano).
Tardiano e Magorno: Le frazioni sulle alture di Montesano…nel verde, nella tranquillità
Sulle alture che si elevano a 800 m circa sul livello del mare, che sovrastano Montesano, a circa 7 km dal centro del paese, dislocate in suggestive vallate con a ridosso dolci pendii si trovano le frazioni di Tardiano e Magorno e poco distanti, gli abitanti di Castracane, Cessuta, Spigno, Pattano e Perillo.
Le comunità che qui abitano vi si stabilirono all’inizio dell’ottocento, dedicandosi soprattutto all’allevamento degli ovini, reso possibile dalla freschezza dei pascoli e dalla presenza di qualche sorgente perenne. La terra fertile delle piccole valli, gli alberi folti secolari delle pendici circostanti, le sorgenti limpide ed il lago a conforto di un’esistenza a misura d’uomo crearono, sin dall’inizio, un forte legame tra il luogo e coloro che ivi risiedono.
Sicché la popolazione, che si è rinnovata nel tempo, anche se ha conosciuto i morsi dell’emigrazione dettata dal bisogno, non abbandonato mai in forma definitiva questi luoghi, né subendo il richiamo del centro storico, nei decenni trascorsi, né assecondando, oggi, la tendenza a far parte della sempre più urbanizzata frazione di Montesano Scalo.
Chiesa di Tardiano
Il maiale
Al contrario, le famiglie di Tardiano e Magorno si legano sempre più al territorio eletto al luogo della propria residenza: si vanno affinando sempre più le abilità nella preparazione dei salami derivati dalla macellazione di maiali allevati, come al passato, con prodotti genuini della terra (si custodiscono gelosamente le operazioni e gli ingredienti per la preparazione di soppressate, capocolli e prosciutto).
In fondo, coloro che abitano queste frazioni godono di tutti i vantaggi che offre oggi la società moderna, senza pagare il triste pedaggio dell’inquinamento, del traffico, dell’urbanizzazione caotica e selvaggia.
Questo risultato è dovuto certamente all’amore degli uomini per il proprio sito, amore fatto di rispetto per la montagna di gratitudine per le condizioni di vita che essa ancora garantisce loro.
I boschi, infatti sono ben tenuti con i sentieri sempre tracciati e definiti; limitato è l’uso del cemento dell’asfalto, perché rapportato solo alle reali necessità.
Le risorse naturali sono tenute nella massima considerazione e non soggetti ad uso dissennato. Se si vuole incrementare il reddito e la ricchezza delle famiglie che abitano quassù, per assecondare la loro innata predisposizione per il lavoro, lo sviluppo e il progresso, una sola attività è ipotizzabile in queste amene località: l’agriturismo, perché ben s’adatta alle caratteristiche del luogo e all’animo degli uomini.
E poi le “offerte del posto”: magnifiche escursioni-passeggiate nei boschi, a piedi o a cavallo, accoglienza in case e ben tenute e dotate di ogni comfort, la possibilità di consumare, di acquistare i prodotti sani e non contraffatti, sostare sulla cima di montagne facili da scalare.
In questi luoghi, lontani anni luce dallo stress e dei disagi del vivere moderno e concitato, l’uomo riesce a trovare la propria dimensione. Quasi la tocca con mano e, con essa, come per incanto, ritrova l’afflato della natura.
Numerose sono le descrizioni e i racconti del famoso lago Cessuta d’inverno.
Tra le poche case di Magorno e la collina di fronte, a causa delle acque piovane e dello scioglimento della neve, si forma un lago artificiale che dura fino all’inizio della primavera.
Scrive Robert Mallet in “Il terremoto del 25 dicembre 1857”, “A Tardiano sul pendio opposto verso l’avvallamento dell’elevato largo montano comincia lo scuro lago maorno, comunemente chiamato dagli abitanti lago maori.. dove la discesa torna ad essere molto ripida lungo il lato nord di un torrente senza nome che si scarica in esso. Si riesce ora a vedere il lago di Maorno, una conca lunga circa un miglio e larga mezzo, circondata da un bacino montuoso con terreno di dura argilla, in apparenza molto fertile, ma in realtà bagnato e paludoso”.
Trebbiatura, momento di incontro tra contadini