Le Taverne più importanti di Montesano sulla Marcellana erano situate sulle strade che da Montesano raggiungevano la Calabria e la Basilicata.
Le taverne, in genere, consistevano in un locale adibito a stalla e in un altro dove venivano depositati i carri. Vi era un reparto della “pagliera” sistemato sopra la stalla, dove dormivano i carrettieri, i trainieri e la cantina dove si beveva e si consumava un pranzo frugale.
Allo Scalo vi erano tre taverne: una, molto animata, in piazza ferrovia di fronte alla stazione ferroviaria, vicino al bar Dioguardi, la seconda al passaggio a livello, casa con torretta in via Dante molto interessante come tipologia architettonica e la terza si trovava In località Cadossano, la più antica taverna di Montesano di cui oggi non rimane alcuna traccia, frequentata da molte persone che viaggiavano per raggiungere le Calabrie.
Dall’inventario dei “Beni di Santa Maria di Cadossa” risulta funzionante già dall’anno 1530 e, data la sua importanza, nel secolo successivo contribuisce con cento ducati all’entrata dell’Università. Posizionata lungo la strada SS.19 delle Calabria che porta a Casalbuono, coincidente in questo tratto con l’antica via Popilia vicino al ponte ed alla stradina che si inerpica sulle colline per arrivare a Cadossa.
Il Cadossano località tra Montesano e Casalbuono, è una zona conosciuta per un evento storico importante e non unico: La fuga dei francesi. Un drappello di circa venti soldati francesi, in fuga dall’Egitto precisamente da Abukir, località del basso Egitto a circa venti chilometri da Alessandria.
In questa rada, il 1 Agosto 1798, l’ammiraglio Nelson soprese la flotta francese che aveva portato in Egitto un corpo di spedizione di Napoleone Bonaparte e lo distrusse quasi completamente. I soldati francesi partirono con una imbarcazione battente bandiera toscana, diretti ai porti della loro patria. Sorpresi in mare da una furiosa tempesta si ripararono a Crotone. Dopo lo sbarco ripartirono prestissimo, e ripresero il cammino verso Napoli, con mezzi di fortuna.
“Nel territorio di Montesano regnava il massimo disordine, i Gerbasio e gli Abatemarco, avevano sparso la voce che su ordine della regina si dovessero ammazzare tutti i francesi di passaggo “erano i capi sanfedisti nel loro paese. (da Scritti di storia Meridionale di L. Cassese)
Appena i francesi, con molte casse piene di ricchi effetti, per il valore di 20.000 ducati, a dorso di muli, giunsero il 24.02.1799 nella zona del Cadossano, furono assaliti dalle bande armate guidate dai Gerbasio e dagli Abatemarco. Molti furono i feriti ed i morti e tra questi si contarono quattro francesi. I superstiti dopo la riconquista di Napoli, da parte del re, furono trasferiti in quella città. Il bottino fu diviso tra le famiglie che avevano guidato l’agguato e tra coloro che avevano partecipato all’imboscata. Gerbasio per ringraziare il re, ancora a Palermo, inviò un suo dispaccio nel quale descriveva l’accaduto. Il principe di Castelcicala, a nome del re, oltre ai ringraziamenti promise anche laute ricompense. La monarchia borbonica durò solo quattro anni. Con il ritorno dei francesi, “i novatori del 99” ritornarono al potere e vendicarono i morti di Cadossano. Emerigo Gerbasio ed i cinque fratelli Abatemarco, con decreto di Giuseppe Napoleone, furono giustiziati dal Tribunale Straordinario di Napoli e condannati a morte il 28 gennaio 1807. Altro evento storico importante è quello del 30 giungo 1885, in contrada Ponte Cadossano, “dove la consolare lascia il passo alla carrozzabile, che conduce verso il paese”. “Gli urbani Michele Martino e Angelo Cestari si trovarono di fronte gli uomini di Pisacane. I due urbani, senza esitazione alcuna, cercarono di fargli deporre le armi e di farli desistere dal loro intendimento, ma vennero messi in fuga da diverse scariche di fucile”.
“Di poi si volsero a Rosa Perretti di Giosuè, sposata con Giuseppe Russo, che in quella contrada era intenta a lavorare nei campi (…)”. Il giudice regio di Montesano, Vincenzo Ruggero, parlò di omicidio volontario ad opera di ignoto della banda. La diciottenne contadina locale, fu l’unica civile a perdere la vita nei giorni della spedizione, senza sapere neppure il perché. “Ella è l’eroina di una impresa ed è la vera spigolatrice, che differisce da quella più dolcemente immaginata e descritta da Luigi Mercantini.”