Sentiero Naturalistico Montano Campolongo
La zona in questione interessa il territorio montano di Montesano Sulla Marcellana facente e dell’area dal quale dipartono gran parte degli itinerari che si muovono in alta quota lungo la dorsale appenninica che interessa quasi tutti i comuni del Vallo di Diano e che sono collegati tra loro, comune per comune lungo l’Alta via della Maddalena. Si tratta di un percorso storico che corre lungo i crinali e quindi è il sentiero posto in alta quota il più alto, proposto in un progetto di qualche anno fa gli Itinerari naturalistici del Vallo di Diano. Interessa quasi tutti i comuni orientali del Vallo di Diano a partire da Montesano fino a Polla e, per piccoli tratti, attraversa il territorio della Basilicata. Si sviluppa lungo vecchi sentieri e mulattiere di montagna ricongiungibili in un unico sistema consentendo l’attraversamento dell’intera catena della Maddalena da questo dipartono i sentieri di montagna come quello che si propone in questa scheda. Si tratta di sicuro di un’area ad alto pregio naturalistico che attraversa territori diversificati. Infatti il suo tracciato si sviluppa a semicerchio con inizio e fine dall’abitato di Arenabianca fino a raggiungere l’altopiano caratterizzato da alternanza di pianori verdeggianti (doline carsiche) e estesi boschi di faggio d’alto fusto. Nei tratti di collegamento tra abitato e zona montuosa il percorso assume caratteristica di panoramicità sul Vallo di Diano e piana di Magorno. Arricchisce di interesse storico il primo tratto che sale dal cimitero di Arenabianca alla sella del Malpasso poichè, da ricerche storiche fatte, coinciderebbe con il percorso che ha fatto lo studioso Mallet nel 1858, dopo il terremoto del dicembre 1857.
Caratteristica dell’itinerario: Si tratta di un itinerario che risponde ai requisiti di percorso escursionistico con discreto dislivello ma senza particolari difficoltà, adatto a chiunque abbia una discreta preparazione fisica di base. Considerato lo sviluppo totale possono essere individuate anche tappe parziali con tempi di percorrenza diversi.
Ubicazione: Comuni di Montesano S.M.
Interesse: paesaggistico – naturalistico – forestale – storico (in parte)
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Sviluppo complessivo lunghezza km 15,27
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Quota altimetrica e sviluppo per toponimi: Cimitero di Arenabianca (Punto A)-(m.710) – Fonte Vellaro (punto B)-(m. 978) – Pascione (m. 1264) – P.zzo di Zi Gregorio (punto C)-(m. 1219) – Campolongo(punto D)-( m. 1276) – Manca del Pozzo (m. 1121) – centro abitato d Arenabianca (punto E) (m. 666)
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Dislivello: salita/discesa m. + 566; m. – 610
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Tipo di attività: escursioni a piedi, escursione in mountain-bike su buona parte del tracciato, escursione a cavallo su buona parte del tracciato, percorso per portatori di handicap fisico su parte dell’intero percorso
Caratteristiche del percorso: strada asfaltata, sterrato, mulattiera e sentiero
Stato di conservazione del percorso:
Mediocre: tratto su sentiero e mulattiera
Discreto: tratto su sterrato e mulattiera
Buono: tratto su strada asfaltata
Tempo di percorrenza medio totale ore 6,00 (escursione a piedi) Tuttavia, come precedentemente evidenziato l’intero itinerario può essere suddiviso in più tappe con tempi percorrenza diversi
Grado di difficoltà: Medio intero percorso
Punti di approvvigionamento dell’acqua: centro abitato di Arenabianca e Fonte Vellaro
Arch. Giancarlo Priante
Anello di Montesano Capoluogo
L’itinerario individuato ricalca per buona parte il vecchio percorso che gli abitanti di Montesano facevano per raggiungere il centro storico, prima che si realizzasse la strada che collega il capoluogo a Montesano Scalo. Si tratta quindi di un itinerario storico che attraversa una zona ad alta vocazione paesaggistica e naturalistica.
Infatti si sviluppa lungo la direttrice del crinale del monte su cui sorge il centro storico dal quale si ha un’ampia visuale del Vallo di diano, da nord a sud.
L’itinerario assume anche interesse storico poiché nella parte alta attraversa le suggestive viuzze del centro più antico di Montesano dove sono ubicati chiese storiche (Sant’Andrea, L’Assunta, San Vito e Santa Maria delle Grazie) e palazzi nobiliari (Gerbasio, Cestari, Abatemarco), offrendo anche ampi spazi panoramici verso la verdeggiante campagna da Prato Comune a Cadossa.
Caratteristica dell’itinerario: L’itinerario si sviluppa ad anello e la sua caratteristica e il grado di difficoltà possono rispondere ad interessi ed esigenze psico-fisiche diverse. In pratica non comporta particolari difficoltà ed è adatto a tutti, compreso nuclei familiari.
Ubicazione: Comuni di Montesano S.M.
Interesse: storico – antropologico – paesaggistico
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Sviluppo complessivo lunghezza km 3,31
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Quota altimetrica e sviluppo per toponimi: località Ponte nella vicinanza della sorgente Valle (punto A) (m. 664) – centro storico di Montesano S.M., località Castello (punto B)-(m. 918) – grotte di S. Angelo (punto C)-(m. 720)
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Dislivello: salita m. + 254
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Tipo di attività: escursioni a piedi, escursione a cavallo su parte del tracciato, percorso per portatori di handicap fisico quasi per l’intero tratto
Caratteristiche del percorso: strada asfaltata, mulattiera e sentiero
Stato di conservazione del percorso:
Discreto: tratto su mulattiera e sentiero
Buono: tratto su strada asfaltata
Tempo di percorrenza medio totale (intero percorso) ore 3,00 (escursione a piedi) compreso sosta e visita al centro storico di Montesano Sulla Marcellana
Grado di difficoltà: Facile
Punti di approvvigionamento dell’acqua: lungo il percorso ci sono diverse possibilità di approvvigionamento idrico
Arch. Giancarlo Priante
LE VIE DELL’ACQUA
Ciclo delle Acque
La zona in questione interessa il territorio collinare del versante ovest che degrada dal capoluogo verso la zona pianeggiante e attraversa un territorio con caratteristica agricola, ricca di boschi e sorgenti, in parte antropizzata e ricca di importanti testimoniante storiche (vecchi mulini ad acqua, casolari rurali, ecc.) e religiose (chiese e conventi).
Si tratta quindi di un’area ad alto pregio naturalistico, paesaggistico, storico e antropologico. Il primo tratto si sviluppa lungo il corso d’acqua alimentato dalle ricche sorgenti di Santo Stefano e dalle tante sorgenti ubicate in località Siotta-Convento S. Antonio.
Dopo aver raggiunto la zona delle Grottelle l’itinerario si sviluppa su strada asfaltata e in parte su sterrata, attraversando un’area antropizzata, facendo tappa alla vasca di raccolta delle acque della centrale idroelettrica, chiesetta storica di S. Pietro, sorgenti di Eliceto Cantari, grotte di S. Angelo, terme di S. Stefano, Siotta, Convento dei Cappuccini di S. Antonio e i numerosi mulini abbandonati ad acqua per finire alla magnifica Abbadia di Cadossa.
Caratteristica dell’itinerario: Si tratta di un itinerario che risponde ai requisiti di percorso escursionistico con discreto dislivello ma senza particolari difficoltà, adatto a chiunque abbia una discreta preparazione fisica di base. Considerato lo sviluppo totale possono essere individuate anche tappe parziali con tempi di percorrenza diversi.
Ubicazione: Comuni di Montesano S.M.
Interesse: storico – culturale – antropologico – religioso – paesaggistico
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Sviluppo complessivo lunghezza 5,7 km
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Quota altimetrica e sviluppo per toponimi: Carsata (punto A)-(m. 521) – Grottelle (m. 595) – S. Pietro (m. 635) – sorgenti Eliceto Cantari (punto B)-(m. 649) – Grotta di S. Angelo S. (punto C)-(m. 720) – Siotta (m. 675) – Convento S. Antonio (punto D)-(m. 702) – Badia di Cadossa (punto E)-(m. 707)
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Dislivello: salita/discesa (complessivo) m. + 186
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Tipo di attività: escursioni a piedi, escursione in bike su strada escursione a cavallo su parte dell’intero tracciato, percorso per portatori di handicap fisico su parte dell’intero tracciato
Caratteristiche del percorso: sentiero, strada asfaltata e sterrato
Stato di conservazione del percorso:
Mediocre: tratto su sentiero
Discreto: tratto su sterrato
Buono: tratto su strada asfaltata
Tempo di percorrenza medio totale ore 3-4,00 (escursione a piedi) in dipendenza delle varie soste ai luoghi di interesse lungo il percorso.
Grado di difficoltà: Facile
Punti di approvvigionamento dell’acqua: lungo il percorso ci sono diverse possibilità di approvvigionamento idrico
Arch. Giancarlo Priante
ITINERARI STORICI
Il viaggio di Robert Mallet
Quando nell’introduzione della sua opera Mallet (1862) elenca tutti i benefici che la sua spedizione nelle aree del terremoto del 16 dicembre 1857 avrebbe portato alla scienza sismologica, egli non lascia trasparire l’altra faccia della sua missione, più antropologica, umana ed emotiva, di cui renderà partecipe il lettore solo in alcune delle 846 pagine del suo trattato. Né lo rende partecipe, della grande emozione delle testimonianze iconografiche del suo fotografo o meglio, come crediamo, dei due suoi fotografi: Bernoud e Grellier. (Becchetti e Ferrari 2004). Per lui come per noi si trattava, infatti, del primo reportage fotografico al mondo su di un terremoto e la più antica documentazione fotografica su un territorio allora così poco conosciuto e che avrebbe subito, nei successivi centocinquant’anni, trasformazioni tali che anche l’ingegner Mallet, abituato alla massiccia antropizzazione del territorio, cui partecipava con i suoi manufatti per stazioni, ponti ecc. non avrebbe immaginato. (Ferrari e McConnell) Se nel testo Mallet sovente narra di situazioni, misure, deduzioni, incontri che esulano dalla rigorosa descrizione di osservazioni scientifiche, che coinvolgono il lettore, al contrario i disegni e le incisioni tratte dalle fotografie, perdono il loro fascino a favore del rigore descrittivo da lui perseguito. Egli forse non immaginava che la forza evocativa e le suggestioni raccolte nelle immagini fotografiche sarebbero giunte fino a noi. In una lettera del 18 luglio 1860 a George Gabriel Stokes, segretario della Royal Society di Londra, a sostegno della necessità di pubblicare il suo rapporto, Mallet afferma:
“[…] if it be not published, in a few years time the whole of the information collected with so much labor and trouble will have vanished, for the Photographs will have altered & become evanescent by mere lying here – as my experience is that none of them are permanent.”
“se non sarà pubblicato, l’insieme delle informazioni raccolte con tanto lavoro e difficoltà, sarà vanificato in pochi anni poiché le fotografie si saranno alterate e diventeranno evanescenti per il sol fatto di rimanere qui – in quanto so per esperienza che nessuna di loro è duratura.”
Per Mallet quindi, le immagini catturate dalle fotografie erano destinate ad alterarsi e a divenire evanescenti, mentre ciò che era destinato a rimanere e ad essere conosciuto nel mondo degli scienziati era solo il suo rapporto. Il terremoto del 1857, con epicentro a Montemurro, devastò la Basilicata ed in parte la Campania, specialmente il Vallo di Diano. Montemurro venne raso al suolo e pagò con circa 5000 morti, su una popolazione 7500 abitanti. A Sarconi vi furono circa 2000 morti ed il castello, splendida testimonianza del passato, fu distrutto dalle sue fondamenta. La società geologica di Londra, per studiare gli effetti del terremoto e conoscere meglio le scosse telluriche e tutti gli altri movimenti della crosta terrestre, inviò in Italia una spedizione scientifica guidata dall’ ing. Irlandese Robert Mallet. Il terremoto non produsse solo danni alle case, alle chiese, ma provocò anche feriti più o meno gravi tra gli abitanti di Montesano. L’assistenza in quel periodo, la più immediata era affidata al medico del paese e ai suoi assistenti. Spesso, questi si prodigavano, con pochi mezzi, nell’assistenza alle persone travolte dalle case crollate ed il loro intervento, non privo di pericoli, servì a salvare vite umane. Il Signor Sindaco si è proposta una gratificazione a favore di questo medico condotto del Cesare Monaco per l’assistenza assidua prestata ai feriti sotto le rovine del terremoto del 16 Dicembre ultimo, poiché è stata una pratica straordinaria ed il risultato è stato vantaggioso.
Dott. Graziano Ferrari
Itinerario Storico 1799
Montesano, 29 piovoso, anno VII della Libertà della Repubblica Napoletana, una ed invisibile
“Gli avvenimenti del 1799, nella Repubblica partenopea si collocano in un grande vuoto di potere. Non stupisce che, in queste circostanze, esploda la violenza di massa. Mitica appare la rappresentazione di una élite intellettuale di spessore europeo isolata in patria. La Repubblica del 1799 è governata da avvocati, intellettuali e nobiltà cadetta, categorie che rimandano a due caratteri della tradizione giuridico statalista e della feudalità meridionale. I moti reazionari del 1799, non lasciarono indifferenti gli ardimentosi spiriti del Vallo di Diano, che fin dal 1733 erano come brace sotto la cenere. Intensi, e particolarmente cruenti, furono i fatti verificatisi a Montesano Sulla Marcellana. Qui, infatti, si consumò uno dei pochi e gravi, atti di antropofagia seguito da quelli di Napoli. Don Nicola Cestari, presidente della municipalità, cadde sotto i colpi della violenza e del complotto, ordito ai suoi danni da un’antica e rivale famiglia del posto, che si servì di alcuni spregiudicati villici per portare a compimento il misfatto. Il 14 febbraio 1799, la folla inferocita si portò al Palazzo Cestari e, scardinato il portone, uccise barbaramente il Cestari. L’arresto ed il processo dei responsabili di tale delitto non portarono a Montesano tempi di pace e tranquillità, al contrario, continuarono i soprusi e i delitti. Tre giorni dopo i fatti di sangue fu eletto a Soprintendente Generale del popolo don Enrico (o Emerico) Gerbasio, che cerco di ristabilire l’ordine. Un periodo di relativo benessere fu vissuto dal paese montano, almeno fino a quando nel 1809, vietate le prestazioni feudali, questo divenne libero Comune. In tale circostanza la divisione delle quote non fece altro che avvantaggiare oltremodo i maggiorenti del paese a tutto danno dei meno abbienti. Tra i maggiorenti non potevano mancare le famiglie Abatemarco, Gerbasio e Cestari i cui nomi erano e sono indelebilmente legati ai fatti e ai personaggi della breve ma intensa stagione della Repubblica Partenopea o come sanfedisti o come giacobini, oppure come protagonisti degli inizi del Decennio murattiano. In un lustro cellule carbonare erano dappertutto: alla Gran Dieta Carbonara di Salerno (30 luglio 1820) ve n’erano rappresentate ben 182. Tra il 1820-1828 non mancano le testimonianze dell’appartenenza alla Vendita di Montesano, “L’asilo della Virtù”, di Cesare e di Tommaso Cestari, questo ultimo presidente comandante della Vendita locale e figlio del più noto Don Nicola Cestari (1799). Tra i più noti filadelfi che presero parte all’insurrezione vi furono i montesanesi: Francesco Maria Gagliardi e Nicola De Martino. Il colera del 1836-1837 colpi indistintamente galantuomini, benestanti e popolani. È tra questi ultimi, pero, che si registra il maggior numero di decessi a causa delle precarie condizioni igienico-sanitarie e della mancanza di denaro a sufficienza per le cure mediche. Le antiche credenze di veneficio, un po’ per differenziazioni sociali molto radicate e per la miseria estrema o la incerta situazione politica, mai migliorata, trovarono facile accoglimento, propagandosi a macchia d’olio. I contadini accusavano i galantuomini, che a loro volta accusavano altri paritetici ma nemici giurati. Dalla situazione ne trasse gran beneficio esclusivamente il Governo, che approfittò della situazione per eliminare cospiratori o presunti tali. Altre epidemie colpirono, irrimediabilmente, la popolazione di Montesano. Nel 1839, fu dapprima la volta del vaiolo, che si diffuse rapidamente tra la popolazione locale, a causa della mancata vaccinazione. Poi, fu la volta del tifo che colpi numerosissimi bambini 120. Il 18 febbraio 1840, il Sotto Intendente di Sala scriveva all’Intendente di Principato a Salerno che, con nota, il Sindaco di Montesano comunicava la fine del morbo, che aveva vessato il Comune suddetto. Inoltre, si provvedeva, con delibera di Decurionato, a dare il compenso di ducati 20 al dottore Cono Matera di Diano, per l’assistenza prestata nel corso di un mese ai cittadini di Montesano. In seguito ai Moti del 1848, anche a Montesano, cosi come in buona parte del Regno, si provvide ad istituire e insediare la Guardia Nazionale123 e il Corpo delle Guardie Urbane. Pur se l’esperienza rivoluzionaria dei Moti sorti nel Regno si diffusero oltre i suoi confini – infatti essi diedero origine al ‘48 europeo – alla fine di agosto “l’Ordine borbonico” era stato ristabilito e le aspirazioni di libertà e giustizia sociale furono ancora una volta frustrate. Molti furono gli imputati del Vallo per “reità politiche” o per “comunismo”, e tra questi ve ne furono sei di Montesano. Se molti furono i condannati a morte, moltissimi, non vennero giustiziati, ma la loro pena, fu commutata in ergastolo o ai ferri, patendo a lungo in carceri buie e malsane. Non da meno furono le sofferenze patite dai loro familiari o parenti. Ancora nel 1856, i montesanesi Gaetano Cestari, Antonio e Nicola Greco, l’arciprete Nicola Fina, Francesco Gerbasio e Saverio Cestari furono arrestati con l’accusa di associazione illecita e cospirazione contro la sicurezza interna dello Stato e perché presunti affiliati all’associazione “Anello orale della setta murattiana”, che aveva sede a Montesano e ramificazioni in altri paesi. In seduta processuale, i condannati ottennero il proscioglimento dai reati loro addotti, perché l’accusa si era rivelata infondata ed era figlia di una macchinazione messa a punto dal sacerdote montesanese don Nicola Germino, per vendicarsi di alcuni suoi concittadini.” Dalla situazione ne trasse grande beneficio esclusivamente il Governo, che approfitto della situazione per eliminare cospiratori o presunti tali.
(Geppino D’Amico da “Cronaca di un efferato delitto: il caso Cestari”)
Premessa
La mostra allestita dalla Soprintendenza Archivistica per la Campania e dalla Regione Campania del 1999, grazie al contributo del Comitato Nazionale per le Celebrazioni del bicentenario della Repubblica Napoletana del 1799, fu una mostra itinerante per la Campania fermandosi nei luoghi di principali avvenimenti di sei mesi della Repubblica, Il 30 Ottobre 1999 si fermò nella Certosa di Padula per una giornata di studio e per una mostra di documenti ed oggetti di cultura materiale. La mostra fu dedicata ad uno degli aspetti più interessanti del periodo repubblicano: la scoperta della politica e più precisamente l’affinamento delle strategie del consenso. L’itinerario espositivo intese ricreare l’atmosfera, la tensione ideale e politica del semestre rivoluzionario scegliendo il punto di vista privilegiato delle tecniche della conquista del consenso, base primaria dell’attività politica moderna. La censura della restaurazione ordinò il falò dei documenti del 99, pensando così di disperdere il ricordo della straordinaria esperienza. Nonostante ciò, facendo ricorso alle fonti archivistiche superstiti ed alla copiosissima bibliografia, la raccolta curata di Mario Battaglini: Atti, leggi, proclami ed altre carte della Repubblica Napoletana1798-1799, Chiaravalle, società editrice Meridionale 1983. “I rivoluzionari del 1799 non si autodefinirono giacobini preferendo il nome di “patrioti”, anzi il termine giacobini inteso soprattutto come definizione dispregiativa da parte delle forze reazionarie che soffocarono nel sangue la Repubblica. E a posteriori, non si può non convenire con i patrioti del 99: il giacobinismo, teoria politica del potere rivoluzionario oltre che fenomeno storico di portata europea, significò innanzitutto capacità di ricorrere alla mobilitazione delle masse popolari come strumento di pressione politica…… La conquista dell’egemonia della piazza, “le giornate” parigine, furono il mezzo per imporre profonde svolte politiche o per salvare situazioni disperate, e rappresentarono la capacità di saldare il movimento urbano con quello contadino in una alleanza in cui l’egemonia restava nelle mani della “città”. Tutto questo nel 1799, a Napoli e nelle province, non avvenne mai e le parole di Gennaro Serra, duca di Cassano, dal patibolo, di fronte alla folla in tripudio, lo testimoniano drammaticamente: Ho sempre desiderato il loro bene e loro gioiscono della mia morte… Mitica appare la rappresentazione di una élite intellettuale di spessore europeo ed isolata in patria. La Repubblica del 1799 è governata da avvocati, intellettuali e nobiltà cadetta-Franco Mario Pagano, Pasquale Baffi, Gennaro Serra, tre categorie che rimandano a due caratteri specifici del Mezzogiorno: la tradizione giuridico statuale e la questione della feudalità………”
(Giacobini Sanfedisti: la conquista del consenso nel 1799 in Campania-Guida ragionata a cura di Michela Sessa)
Per una storia non scritta: il 1799 nel Vallo di Diano Giornata di studio Padula-Certosa 30 Ottobre 1999
La mostra allestita dalla soprintendenza Archivistica per la Campania e dalla Regione Campania, grazie al contributo del Comitato Nazionale per le Celebrazioni del bicentenario della Repubblica Napoletana del 1799, ha percorso e sta percorrendo la Campania fermandosi nei luoghi dei principali avvenimenti dei sei mesi della Repubblica. Oggi si ferma nella Certosa di Padula per una giornata di studio e per una mostra di documenti di oggetti di cultura materiale, nella Certosa che, proprio grazie agli esemplari lavori di restauro che la soprintendenza per i Beni Architettonici di Salerno ha curato, è stata restituita ai cittadini, alla collettività nazionale, alla cultura. Nel ringraziare l’architetto Ruggero Martines, soprintendente per i beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici di Salerno e Avellino, l’Ufficio Centrale per i Beni Archivistici e Gerardo Marotta, Presidente del- l’Istituto Italiano per gli studi Filosofici, i quali hanno accettato l’invito della Soprintendenza a partecipare a questa iniziativa, mi fa piacere ricordare che la giornata di studio e la mostra sono uno dei risultati di una collaborazione tra pubblico e privato, che sempre dovrebbe improntare l’attività delle istituzioni culturali. Il 1799 è stato quest’anno il motivo formale di tante pubblicazioni ma anche di tante possibilità di approfondimento di studi, di poter collocare, quindi, tanti altri tasselli del territorio, dei suoi abitanti, del mezzogiorno d’Italia. Nella prefazione della “guida” a cura di Michela Sessa pubblicata per la mostra allestita a Napoli grazie all’Istituto Banco di Napoli, sono indicati i criteri che hanno indotto ad illustrare i “riflussi quotidiani” che la Repubblica provocava agli abitanti della città di Napoli. Con questa mostra itinerante, ed in particolar modo con questa giornata di Padula, i bagliori rivoluzionari e i reflussi quotidiani sono studiati, invece, nella città, nelle campagne della nostra regione e grazie, quindi a Luigi Carrano e a tanti cittadini dei Comuni del Vallo di Diano, che hanno giustamente conservato in questi due secoli questi ricordi, possono essere visti, in concreto, documenti ed oggetti, parte integrante della loro vista allora, testimonianza viva ed efficace oggi. Tanti aspetti potrebbero essere ricordati: combattimenti, saccheggi, gesti epici o bassezze umane. Vorrei soffermarmi su due aspetti che, se pure non ricordano direttamente il 1799, sono ad esso strettamente collegati, con una valenza ed un interesse attuale. Innanzi tutto vorrei ricordare Ippolito Nievo, l’autore delle “Confessioni di un Italiano”, che nel suo romanzo scritto nel 1858, quindi ben prima degli avvenimenti che portarono all’unità d’Italia, inserì anche le “campagne” militari della Repubblica, che evidentemente furono da lui ritenute eventi significativi di quegli anni. Nella figura di Ettore Carafa, poi, tratteggiò l’eroe che si sacrifica per il bene della nazione. Sia Nievo che Carafa sono stati raramente menzionati nei mesi del 1999 nelle varie celebrazioni ed è questa, quindi, un’occasione che desidero utilizzare soprattutto per ricordare l’esistenza del romanzo ai giovani, agli studenti, per invitarli a leggerlo, anche fuori della scuola. È un romanzo storico, scritto da un veneto, che narra, in una visione unitaria, la storia italiana di quegli anni, ma questo romanzo, che è risorgimentale, patriottico, a differenza di altri, può essere letto senza fatica perché ispirato all’ ideale dell’Italia unita, dell’Italia libera, senza denominazioni straniere. Il secondo aspetto che vorrei sottolineare si collega strettamente a questo ideale: è la speranza che queste celebrazioni, questi discorsi, questa giornata, questa mostra, che a somiglianza delle tante “scuole estive” che l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici ha organizzato per tutto il Mezzogiorno, è dedicata soprattutto ai giovani, possa essere l’inizio o il seme gettato perché la cultura, l’onestà, il vivere ed agire per lo sviluppo della collettività contro l’ignoranza, la violenza, sia il risultato vero e principale del ricordo del 1799.
(Guido Raimondi Soprintendente archivistico per la Campania, “Per una storia non scritta: il 1799 nel Vallo di Diano – Documenti inediti e Cultura materiale pag.3,4,5)
Montesano nel 1799
“…Agnese Barbella, Cristina Russo e Maria Spinelli si erano riunite in cucina, dalla casa padronale dopo un po’ vi giunse correndo Don Nicola Cestari scalzo e con la testa insanguinata, lo seguivano molti compaesani, fra cui Gaetano Abatemarco che lo afferrò per il braccio, Valeriano Vignati e Andrea Montemurro detto il “Quarantino”, i tre guardiani della grancia di Cadossa che dopo averlo percosso, e ferito ripetutamente, mentre ancora parlava gli recisero la gola e poi iniziarono a festeggiare, dileggiando e facendo scempio del cadavere. Alla fine dello scempio indicibile Domenico Larocca gli recise la testa e la conficcò su un palo che portò successivamente in piazza al posto dell’albero della libertà. La vivezza del racconto della morte di Nicola Cestari, che le carte giudiziarie ci trasmettono, rende l’episodio tragico ma emblematico, pregno di significato se letto nel contesto generale della rivoluzione napoletana, alla luce delle contraddizioni umane e culturali del nostro meridione. Il lavoro svolto per le celebrazioni del Bicentenario con i ragazzi della scuola media “Abate Giuseppe Cestari” ha inteso ricostruire un avvenimento che ha segnato la vita di antiche famiglie montesanesi, generando odi, rancori ed inimicizie, sopite solo dallo scorrere dei secoli. Sull’episodio di crudeltà fratricida è calato un velo di silenzio pietoso, che ha finito per coprire di oblio la stessa memoria dei fatti. La ricerca ha permesso di ritrovare documenti minimi, ma di grande valore storico. Gli atti d’archivio non sono stati considerati solo fredde cronache di fatti storicamente avvenuti, ma piuttosto come testimonianza inconfutabile di un malessere sociale, che generava ribellione malgoverno e cercava le occasioni per punire soverchierie padronali. La tragicità e la grandiosità dei fatti non potevano essere presentate ai giovani se non sotto forma di un’attività didattica stimolante, come quella del “laboratorio delle cantastorie”. Quel fatto veniva smembrato in diversi episodi, affidati all’interpretazione ed alla rappresentazione di vari gruppi di ragazzi che, stimolati a riconoscersi nella storia, hanno ripercorso anche emotivamente l’iter dell’avvenimento: cause, eventi e conseguenze. Il successo ottenuto fa riflettere su questo: i giovani hanno saputo rivivere con maturità e responsabilità storica un fatto che giustifica, ancora oggi, atteggiamenti di riserbo, chiusura e diffidenza del cittadino Montesanese. Questa la cronaca tramandata dai documenti: dieci giorni dopo l’innalzamento dell’albero della libertà repubblicana, a Montesano un gruppo di facinorosi, in esecuzione di un disegno criminoso minuziosamente studiato, uccide Nicola Cestari, capo della municipalità, ed in segno di estremo oltraggio, dopo avergli reciso la testa, mangia un pezzo delle sue guance dopo averle arrostite! Nicola Cestari, persona facoltosa ed avveduta, aveva larghe aderenze a Napoli, dove aveva studiato e certamente aveva fatto uso spregiudicato del suo potere: tutti i partecipanti all’omicidio, soprattutto gli Abatemarco, avevano vecchi motivi di rancore e risentimento nei suoi confronti. Ad esempio vi erano state polemiche durante le elezioni del 1798, che avevano fatto prevalere il “popolo basso” e che Cestari aveva fatto annullare ripetere. Inoltre, in occasione delle leve forzate decise da Ferdinando IV per potenziare le truppe alla vigilia della guerra contro la Francia, Gioacchino Abatemarco aveva protestato perché, pur avendo un figlio sotto le armi, il Cestari ne aveva fatto partire un altro. Infine, in una vertenza sorta per questioni agrarie tra i contadini montesanesi e certosini padulesi, il capo della municipalità si era schierato dalla parte dei monaci. Sia ben chiaro: tutto questo non può servire a giustificare un eccidio, soprattutto con modalità così feroci, ma serve a comprendere il clima, la dimensione mentale. Certo le vicende del 1799 a Montesano sono esemplare testimonianza delle faide familiari, che costituiscono il filo rosso della storia delle comunità locali meridionali, soprattutto di quelle più isolate dalle grandi vie di comunicazione. La ricerca realizzata con gli alunni della scuola, oltre a costruire un esempio di didattica della storia, ha cercato anche di far uscire dall’ombra gli abitanti di Montesano di due secoli fa: poveri contadini e pastori, per eredità feudale costretti a divenire il braccio armato dei potenti locali.
(Arch. Teresa Rotella Per una storia non scritta: il 1799 nel Vallo di Diano – Documenti inediti e Cultura materiale pag.20-22)